L’arte è per tutti
di C. Cesallini
L'articolo 3 della Costituzione Italiana dichiara che è compito della Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona. Io lavoro in prima persona per abbattere queste barriere, mettendomi al posto dell'altro e utilizzando il linguaggio del corpo: la comunicazione non verbale e le arti come teatro danza, segni, mani, suoni, odori, profumi, sensazioni sono per me fondamentali. Il corpo diventa uno strumento di percezione per coinvolgere gli altri e garantire l'accessibilità in ambito museale.
Foto di una mostra a Palazzo Grassi (2013), gentilmente concessa dall'autrice.
Mi chiamo Carla, sono una educatrice museale specializzata in linguistica e accessibilità di origini italo-argentine, lavoro all’interno dei musei e l'arte è da sempre il mio modo per pensare e comunicare. Mi esprimo partendo dagli oggetti per vivere il museo, assicurandomi che l'altro capisca: con l’analisi dell'opera-oggetto provo a spiegare verificando con domande o ripetendo per capire se quel che ho detto sta arrivando al mio interlocutore e posso continuare.
Sono dell’idea che il patrimonio e il modo di trasmetterlo debbano essere di facile comprensione per tutti. L'obiettivo è costruire una museologia cognitiva e di inclusione, progettare quindi soluzioni che rispondano a problemi e bisogni che ognuno di noi ha. Spazi e percorsi pensati per persone che hanno diverse necessità possono migliorare la vita di tutti. La museologia cognitiva è la scienza che racconta il museo in modo teorico ma da diversi punti di vista.
Con il progetto St-Art della Fondazione Pinault a Palazzo Grassi e Punta della Dogana, ad esempio, tutti i sabati cerco di proporre un cambiamento nel modo di vedere l’arte e il mondo attorno. Il protagonista è il gioco, linguaggio che aggrega, perché quando una persona è coinvolta, fissa il ricordo a lungo termine e lo porta con sé per tutta la vita. Si tratta di laboratori ludico-didattici accessibili anche a bimbi sordi e alle loro famiglie grazie alla presenza di operatrici museali che trasferiscono i contenuti in lingua dei segni italiana (LIS). Questo ha un duplice successo: da un lato aiuta i bambini a immergersi nelle attività, dall'altro suscita curiosità nei bambini che entrano in contatto con nuove lingue, imparano vocaboli e concetti inerenti alla mostra e hanno modo di esprimersi attraverso le mani e lo spazio. Tutti insieme scoprono le opere e gli artisti, giocano e creano un'opera con materiali con cui hanno meno confidenza, e questo li rende soddisfatti di sé e più consapevoli delle loro capacità,. Riescono a comunicare usando tutti i sensi, si creano connessioni e si lavora sulle diverse intelligenze.
Foto di una visita guidata interpretata in LIS a Le Stanze del Vetro (2017), gentilmente concessa dall'autrice.
Da molto sto studiando i diversi modi di percezione per poter fare apprezzare l’arte anche alle persone che non vedono o non sentono. Anche grazie agli spazi de “Le Stanze del Vetro”, con la mostra di Ettore Sottsass, ho portato avanti i miei obiettivi e il mio desiderio: riflettere sempre più spesso su una città e un Museo senza dislivelli, concepiti per la fruizione di tutti. È proprio ne Le Stanze del Vetro che ho avuto la possibilità di svolgere, con l’aiuto di un interprete di LIS, un’attività di interazione durante una visita con un gruppo di persone sorde adulte. È in questo modo che nel museo si può esercitare l'Arte del coinvolgimento: insegnare ad appassionarsi alle cose, esercitare il pensiero, restituire il valore alla cultura del fare, condividere, scambiare e così creare un circolo virtuoso…per tutti!
Educatrice museale specializzata in linguistica e accessibilità
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VEASYT offre la possibilità di guardare la traduzione in lingua dei segni italiana (LIS) di questa intervista a cura di Pietro R., studente triennale di Lingue, Civiltà e Scienze del Linguaggio presso l'Università Ca' Foscari Venezia: